Vedo sventolare le bandiere del Reich e il nero sopra il sangue e il giallo dei fiori atterrisce.

Ali di corvo al vento tornano alla mia mente, il sogno ricorrente di mia madre.

Bandiere nere al vento campeggiate dall’argentea ruota, ora sono davanti ai miei occhi.
La paura serpeggia sulla pelle, come la cesta velata, che nasconda un basilisco nel fondo.

Sulla vetta le alte torri, squadrate e nere sembrano tener ancorate le aquile, incatenate per le zampe e le ali. La cupola è il cappello della pietra tombale, una scodella rovesciata sull’oscura basilica.

Ricordo la primavera del 1933, i miei capelli raccolti in due trecce, coi nastri rossi e gialli, il vestito del quale ero fiera, i miei seni bianchi e l’appello della mia Mutterkanz che ci schierava con le raclette perché facessimo il numero.

Ricordo i suoi occhi blu, il cappello da tenente con l’aquila in fronte, il saluto ossequioso, il battere dei tacchi. Era bello Franz in alta uniforme, io ne fui folgorata.

Salii le scale dopo aver passato l’ispezione e una ragazza mi guidò verso l’anticamera dell’ufficio di mio padre.

E lì mentre la porta si apriva e mio padre accompagnava un uomo in alta uniforme, ci ritrovammo.

Erano passati quattro anni, sapevo che aveva chiesto di me e sperai fosse quello il motivo per cui mio padre mi aveva convocata al Reichstagt a Berlino.

Mia madre era morta anni prima, in tempo per perdersi l’annessione della nostra Austria, ombra sgualcita dell’impero che fu, alla Prussia.

Mio padre costretto a riprendere moglie, mi mandava una piccola rendita che era stata della mamma ma non si era più interessato a me.

Gli ultimi anni erano stati duri, ero sinceramente affezionata alla mamma e la compagnia della sola fantesca non poteva bastarmi.

Mio padre mi aveva dimenticata in fretta.

Ero cresciuta con la mamma, che non amava Berlino, né quel piccolo arrogante uomo che ormai ci governava.
Ella lo aveva conosciuto nel 1919, durante un’estate a Bad Tőlz con una sua compagna di collegio cugina di lui.
Non spiegò mai i motivi della sua avversione, solo in seguito mi confidò che Marie ne aveva subito gli abusi e lei stessa era ripartita per Vienna avvertendo la sua cupidigia.

Marie era morta dopo anni di tormenti, di tira e molla del suo carnefice, mia madre aveva tenuto il segreto per anni.

Ed ora ero lì in anticamera con due uomini che potevano determinare tutta la mia vita.

Da una parte mio padre che aveva avuto, fino a quel momento, un ruolo fondamentale su di essa.
L’uomo che mi aveva negato il suo appoggio per frequentare la facoltà di filosofia a Stoccarda, a Lipsia o a Jena.

Dall’altra quel bellissimo giovane che aveva alimentato le mie fantasie in quegli anni e che ora mi faceva avvampare con uno sguardo.

di P. Cantatore

… continua